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174 | CAPITOLO QUARTO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:186|3|0]]a vedere cosa succede a Lago dopo la partenza di don Aurelio»
Ella non avrebbe voluto uscire. Avrebbe voluto chiudersi nella sua camera, scrutare, in un crogiuolo ideale, le parole del signor Marcello: - a quella tal cosa ho pensato io, quando quel tale venne qua -. Ebbe paura di farlo. Meglio uscire, andare a Lago. Uscì in giardino per la veranda aperta, si sforzò di pensare alla fuga di don Aurelio, a quel che direbbe e farebbe la gente di Lago. Ma gli stessi alberi presso i quali passava, gli abeti davanti alla scuderia, le betulle presso il cancello parevano dirle col loro rigido silenzio: non è questo che ti sta a cuore, è un’altra cosa che noi sappiamo e non diciamo. Ella affrettò il passo per liberarsi dalla ossessione della loro chiaroveggenza. Giunta fra i grandi castagni, sull’erta, dovette rallentarlo. E allora i grandi castagni bonarii, dalle pietose braccia sparse, le mormorarono: povera, tu dicevi no al suo amore quando gli altri dicevano sì. Adesso che il signor Marcello dice no anch’egli, povera, non sai più dirlo tu, non ne hai più la forza, vorresti dire sì e nessuno te lo domanderà più mai, povera povera povera. - Ella respingeva questa voce, orgogliosamente; ma sentì che le si serrava la gola e reagì, riprese a salir veloce. Là dove si spicca dalla via di Lago il sentiero che gira, sul margine della quieta conca, verso una scura corona di carpini, pensò il breve lago immobile dentro quella corona, le battè il cuore, passò. Fra le casupole di Lago non incontrò anima viva. In piazza una vecchierella stava attingendo acqua alla fontana. Lelia la interrogò. Proprio vero che don Aurelio era fuggito? «Gèsu, se xe vero!» E cosa dice, qui, la gente? «La tasa, siora, che i xe tuti a Sant’Ubaldo che i fa un bordèlo, Gèsu! I dise che i vol copar l’anziprete. La vade, siora,