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188 | CAPITOLO QUARTO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:200|3|0]]più volte, anche da giovane, di venir preso da vertigini nell’alzarsi dopo aver frugato nella terra intorno alle sue pianticelle. Attese che fossero passate, ritornò in camera, recitò in ginocchio le preghiere della sera e, spogliatosi, salì sul letto, entrò colle gambe sotto le coltri. In quel momento lo ripresero le vertigini, violente. Appoggiò la testa alla spalliera del letto. Lo corse allora, dalla nuca fino alle gambe, un fulmine. Credette gridare e non gridò, sentì farsi di gelo le braccia, conobbe ch’era la morte, agitò inutilmente le labbra per dire «in manus tuas, Domine» e tutto era già finito, non viveva più nella camera che la fiammella indifferente della lucerna, illuminando il viso di marmo giallognolo reclinato alla spalliera, composto, grave, la selva dei capelli grigio-fulvi. Solo vi aveva battiti il piccolo indifferente cuore dell’orologio d’oro, sul tavolino da notte.