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CAPITOLO SESTO.


Nella torre dell'orgoglio.


I.


L’ingegnere Luigi Alberti, zio di Massimo, discendente da un vecchio ceppo della media borghesia milanese, abitava un quartierino al terzo piano, in via S. Spirito. Modesto, ordinato all’antica, arredato di vecchi mobili, di vecchi quadri assai buoni, ricco di vecchi libri, sfornito di comodità moderne, di acqua potabile, di gaz, di luce elettrica, l’alloggio rendeva immagine del padrone. L’ingegnere Alberti era veramente nella struttura monolitica del carattere, nella solidità delle convinzioni religiose e morali, nella ferrea coerenza delle azioni colle idee, nei criterii del giudicare uomini e cose, nella fede alla tradizione, un superstite di generazioni antiche. Egli stesso si qualificava nel modo milanese che segue, coll’aria di appartarsi contento dal mondo moderno in un suo ideale angolo solitario, spregiato e caro: - sont on andeghee - sono un antiquario, un uomo del passato. Nella umiltà del cuore, nella noncuranza dei beni e dei piaceri terreni, nella purezza verginale del costume, nella dissimulata generosità, era un cristiano dei tempi

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