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CAPITOLO OTTAVO.
Sante alleanze.
I.
Tre giorni dopo, un venerdì, il ragioniere Girolamo Camin, il dottor Francesco Molesin e Carolina Gorlago, governante del Camin, arrivati insieme ad Arsiero col primo treno, si acconciarono alla meglio, con borse e ombrelli, in una delle carrozzelle che sempre abbondano in quella stazione per trasportare viaggiatori al paese di Arsiero, a Tonezza, a Lavarone. Il dottor Molesin, all’atto di salire, fece qualche complimento colla Carolina; ma poi, incoraggiato dall’amico Momi, l’amico Checco salì nell’interno. La Carolina, una robusta donna sui trentacinque anni, dalla faccia volgare e dalla voce grossa, si arrampicò imbronciata a fianco del vetturale che frustò il cavallo e prese la via della Montanina.
Il ragioniere Camin, che si faceva chiamare da Camin in onore della celebre famiglia antica di quel nome, era brutto di una bruttezza particolare, non tanto disegnata nei lineamenti come puzzante, dalle tumidezze, dalle cisposità, dai colori falsi di quel viso giallognolo, di quegli occhi rossi, di quel collare di barba, mezzo tinto e mezzo stinto, misto di grigio, di rossastro e di violaceo.