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16 | CAPITOLO PRIMO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:28|3|0]]desiderii, che poi gli avrebbe ottenuto anche il consenso del padre alle nozze sospirate. E gli descriveva il quartierino della sua futura felicità, tre stanze e una terrazza sul lato di ponente della villa. Dov’erano la gioia e la dolcezza di tante speranze, dov’era quel capo biondo, dov’era quel bel viso scintillante di vita e di gaiezza, dov’era quel cuore aperto e caldo? Sotterra; e le montagne, e i boschi, e la voce del Posina profondo, e i sussurri delle acquicelle querule, tutto durava come prima, amaramente. Ecco il castagno antico, dal tronco tripartito a candelabro, ecco, sullo svoltar della salita, il biancor fioco della chiesetta bizzarra, ecco il biancor fioco, in alto, della villa e il fosco sopracciglio della grande, pensosa Priaforà.
Un anno prima che Andrea morisse, Massimo ed egli avevano discorso insieme, sotto il castagno antico, della famiglia Camin, della necessità di tener lontano da Lelia, dopo il matrimonio, anche suo padre. Andrea n’era persuaso e diceva che la fanciulla lo desiderava quanto egli. Si era sfogato a esaltare la nobiltà d’animo di lei e anche la maturità precoce della sua intelligenza. A questo proposito aveva confessato di non essere stato sincero con i proprii genitori, indicando loro l’età della ragazza. Lelia era sui sedici anni ed egli aveva detto dieciotto.
Massimo si fermò istintivamente a toccare il tronco del castagno, testimonio superstite, pensò il giovinetto in Dio, gli parve che l’albero e la umile chiesina e l’accigliata montagna lo pensassero con lui.
«Xela straco, signor?» gli chiese Cioci che si era fermato anch’egli. Massimo si scosse.
«No no, andiamo» diss’egli, e, anche per levarsi dai tristi pensieri, domandò a Cioci del suo curato. Dovevano essere contenti, a Sant’Ubaldo, del loro curato!
«Ah, cossa vorla!» esclamò Cioci. Era un panegirico, era come dire: «In qual modo vorrebbe Lei