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CAPITOLO DECIMO.


In giuoco.


I.


L’amico Molesin non credette sillaba del racconto che gli fece Momi; nè che non avesse veduta la figliuola nè altro. Tuttavia il buon dottore mostrò di abbrancare e di tenere lietamente saldi i due infiniti: aspettare, sperare. Non c’era dubbio, non c’era dubbio, le cose si accomoderebbero. A colazione mangiò poco, allegando ch’era troppo tardi, che l’appetito gli era passato. Però si mostrò assai di buon umore, parlò del paesaggio e del «Cason» con qualche maggiore benevolenza, riferì il discorso fatto in canonica sull’ufficio funebre, persuase, molto facilmente, Momi a mandar subito un rigo pregando che l’ufficio si celebrasse nel più breve termine possibile. Espresse bonariamente la cortese intenzione di assistervi, se per questo non dovesse rimanere che due giorni e se la sua prolungata dimora non riescisse d’incomodo. Il luogo gli veniva piacendo ed egli stesso aveva tanto bisogno, povero dottore, di riposo. Il sior Momi fece «figurarse, figurarse!» ma battè molto le palpebre. Dopo colazione Molesin volle fare due passi, salire coll’amico il sentiero ombreggiato

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