< Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

IN GIUOCO 301

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:313|3|0]]alle sei. Ritirò il capo di fra le colonnine, vi ricomparve un momento dopo colla candela in mano.

«Buona notte» diss’egli.

Allora il sior Momi salì ad affrontarlo.

«No La crede? Persuasa. La va.»

Molesin rispose scuro e pesante come il piombo:

«Vedaremo.»

«La vedarà!» replicò il sior Momi. Allora il dottore ricordò un altro impegno preso dal sior Momi prima che la furiosa Gorlago facesse irruzione nello studio.

«E la tosa?»

Colla stessa tranquilla sicurezza colla quale aveva detto parlando della Gorlago, «la va», il sior Momi rispose, parlando di sua figlia: «La vien.»

E Molesin ripetè enfaticamente:

«Vedaremo.»

Il sior Momi prese un tono di familiarità affettuosa, allungò la mano al braccio dell’amico, lo persuase con molli blandimenti di parole e con frequenti «aho aho» a ridiscendere nel salone, gli propose di chiudere la serata in pace al tavolino da giuoco. Poichè il dottore non conosceva il foracio, si poteva fare un piccolo «tresette pizzeghin». Il «tresette pizzeghin» si giuoca in due e prende il nome da ciò che ciascuno dei giuocatori, ad ogni giuocata, pizzica e cava per sè, voltandola, una carta delle sedici che restano in tavola coperte poichè le prime ventiquattro furono partite fra di essi per metà. Giuocarono, Molesin facendo il cipiglio alle carte cattive che voltava, il sior Momi facendo aho aho alle carte buone. Nessuno fiatò più dei grossi «affari». E non pensavano, ambedue, che a quelli. Molesin dimenticava spesso di pizzicare e di voltar le carte; il sior Momi non dimenticava mai. Infatti Molesin, pensando che il suo avversario tirava senza dubbio a infi-

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.