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320 CAPITOLO UNDECIMO

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:332|3|0]]fanciulla diede un passo indietro e continuò a leggere senz’aprir bocca, tenendo ancora la penna nella mano tremante.

«Credi aver diritto» esclamò ancora la corrucciata amica «di fare la suscettibile?»

Ella pensava, ingannandosi, che l’atto violento della fanciulla fosse stato una reazione di collera contro le parole acerbe della lettera di Massimo. Lelia non rispose e continuò a leggere silenziosamente:

«La terza è che Pietro ha dubitato, sì, ma che, sentendosi sommergere, ha gridato: Signore, salvami! La quarta è che la tua madre onoraria avrebbe bisogno di te più che l’abbia il bambino del brigadiere di finanza e che domani al villino delle Rose vi sarà maggiore solitudine che a Dasio, perchè Lelia ritorna alla Montanina. Così vuole suo padre. Addio, figliuolo. Scrivi a don Aurelio. Le tue ragioni di tacere con lui non mi persuadono. Ti vedo con un piede fuori della via dove io cammino umilmente senza sentire i sassi, le spine e la polvere che vi senti tu colla tua scienza e la tua filosofia. Ma non sono capace di discutere con te che hai tanto ingegno e tanto sapere. Scrivi a don Aurelio. Addio.

Mamma Fedele. »

Finito di leggere, Lelia porse lo scritto, tacendo, a donna Fedele che la guardava cogli occhi spalancati, aspettando invano una parola.

«Ma ti pare?» diss’ella. «Come la mando adesso?»

«Scusi» rispose la fanciulla, gelida. «Ho fatto bene.»

E uscì dalla camera.


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