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334 | CAPITOLO DUODECIMO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:346|3|0]]potè lasciare la via maestra. Un incontro di carri e di gente la raffreddò. Allora tremò di se stessa, della volontà violenta che aveva divampato in lei e l’era quindi rientrata nelle tenebre inferiori dell’anima simile a una fiera in servitù, che, sdraiata nel fondo del carcere, leva un momento il muso, rugge ai molesti onde fu svegliata e, paga del loro atterrito silenzio, ripiega nell’ombra, si riaddormenta. Pensò a donna Fedele che non la credeva ferma, evidentemente, nel suo «no», nel suo «mai.» Si propose di scriverglieli ben chiari e forti, di costringere così anche sè a non mutarli.
Al castagno incontrò suo padre che le domandò, timido timido, se venisse dal villino. Parve domandarle, osando e non osando, se venisse da un convegno colpevole. Alla brusca, sfidante risposta di lei battè le palpebre.
«I preti, ciò» disse sorridendo, «i preti.»
Questo conciso linguaggio significava un monte di cose: che ai preti non piaceva la sua amicizia con donna Fedele, ch’egli consigliava di accontentarli ma che però non andrebbe più in là del consiglio. I preti erano venuti alla Montanina colla Fantuzzo durante l’assenza di Lelia. Il cappellano aveva fatto un viso funereo. Invece la siora Bettina era parsa quasi sollevata da un peso. Il sior Momi, navigando blandamente fra gli scogli clericali e lo scoglio filiale, si arrischiò a prometterle una visita di Lelia: «la vegnarà ela, la vegnarà ela». Diede ascolto con zelo ai discorsi dell’arciprete, il quale, più che di Lelia, si preoccupava del genitore, vedeva in esso un nuovo elettore, un futuro consigliere, una futura zampa, grossa e potente, della canonica in Consiglio, un prezioso alleato del proprio successore.