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«AVEU» 359

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:371|3|0]]del letto, ma capovolti, coi fiori pendenti sul guanciale, che le sfiorassero i capelli, che potesse, alzando il viso, baciare. Ne tolse uno, discese nella sala da pranzo, lo pose in un calice di cristallo per tenerlo davanti a sè sulla mensa cui avrebbe seduto sola. Passò nel salone, si mise al piano, suonò «Aveu» con un divino impeto, pensando che il piano, se avesse un’anima, a sentirsi sviscerare così, capirebbe; pensando che forse, là nel suo romitaggio lontano, egli sentirebbe qualche vibrare in sè. Le vennero in mente, con un colpo di gioia, versi adattati alla musica di «Aveu» da un amico del signor Marcello:

«Ah solo un demonio e un angelo il san

Che pugnan, crudeli, nel fragil mio cuor.
Or vince il più dolce, mi dono in sua man,
Or scendo in un abisso di fiori e d’orror,
Or sappi che brucio, che moro di te,
Or tutta mi prendi chè Iddio mi perdè.»


Uno solo rispondeva al suo sentimento, ma come vi rispondeva!

Or sappi che brucio, che moro di te

Suonò il pezzo due, tre volte per quel verso, per quel solo verso. Poi si alzò dal piano, andò cercando per la sala il posto da cui si discerne la punta di dolomia. Ritornò al piano, ne strappò da capo i rotti accenti della passione delirante.

«Gèsu!» pensò Teresina preparando la tavola per il pranzo. «Cossa gala po?»


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