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UNA GOCCIA DI SANGUE PATERNO | 365 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:377|3|0]]a Monte Berico non era che una prima tappa e non si poteva rallegrarsene troppo, a fronte dell’azione continua esercitata sulla fanciulla da donna Fedele. Gli era inoltre noto un fatto grave, tale, se Lelia lo venisse a conoscere, da spingerla sempre più verso il villino delle Rose. La Gorlago non era a Cantù, era a Padova, nascosta in casa Camin. La continuata tresca, per sè colpevole, ma colpevolissima perchè malcauta, gittava discredito sugli ecclesiastici amici del reo. E chi ne approfitterebbe se non donna Fedele? La mira di donna Fedele era indubbiamente un matrimonio Camin Alberti. Per fortuna Lelia vi ripugnava tuttavia, prova il tentativo di suicidio, e per fortuna donna Fedele era costretta di lasciare il paese durante qualche tempo. Ciò era risaputo in canonica. Don Emanuele s’interdiceva di sperare qualche cosa di peggio che un’operazione e una lunga convalescenza. Anzi voleva ammettere che la signora, contro i suoi meriti, guarirebbe, per trarne la necessità di una azione vigorosa durante il suo soggiorno a Torino. Era necessario anzi tutto piegare la fanciulla verso Dio e poi trovar modo di rinnovarle quel disgusto sdegnoso del mondo che l’aveva spinta al suicidio, offrirle allora salute e pace in una vita religiosa fatta per lei. Non a Castelletto del Garda. Quella era un’idea della povera siora Bettina. Lelia non era fatta per tenere una scuola nè un asilo e nemmeno per l’assistenza degli ammalati. Ci voleva un Ordine contemplativo. Tutte queste riflessioni don Emanuele le rimasticò trottando verso Velo a fianco dell’arciprete e le tenne per sè.
Lelia, ritornando al piano, pensò: «forse, una goccia del sangue di mio padre ce l’ho bene.»
Non volle che si accendessero le lampade. Si ritirò presto nella sua camera, si pose alla finestra. L’oriente