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UNA GOCCIA DI SANGUE PATERNO | 367 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:379|3|0]]egli non vedeva, non capiva più niente e allora il pio rivoletto latino gli s’inaridiva sulle labbra ferme. Finalmente dal peggior garbuglio gli spuntò un filo. Tira e tira, il filo veniva a meraviglia, come se la Provvidenza avesse lavorato un garbuglio delle sue proprie fila per don Emanuele, perchè il pescatore di anime si facesse il merito di trovarne il capo buono, di svolgerlo e svolgerlo fino alla pratica dimostrazione che tutto l’arruffio di groppi, di occhielli, di pendagli si scioglieva in un divino filo da reti di pesca. Così almeno pensò il pescatore.
Intanto la siora Bettina, seduta in faccia all’altare, sentendosi inaridire la devozione in cuore, durando fatica a non distrarsi dietro il gorgoglio della fontana del vestibolo, a non pensare di dove venisse quell’acqua e dove andasse a finire, se fosse pura o no, fresca o no; temendo anche di certa macchia del tappeto verde sul gradino dell’altare, dove troppo spesso ritornavano i suoi occhi e il suo mal combattuto desiderio di sapere se fosse vecchia macchia di unto o macchia recente di bagnato, si domandò se non le convenisse di mettere la punta del naso in sagrestia. No, sarebbe stata una sconvenienza. Cercò liberarsi dalle tentazioni della fonte e della macchia pensando, a propria edificazione, la santità di don Emanuele, il rapimento mistico che lo tratteneva così a lungo.
Egli si alzò dall’inginocchiatoio, non più chiaro affatto in viso di quando vi si era piegato, mandò il chierichetto a vedere se Lelia fosse rientrata, uscì dietro a lui e fe’ cenno alla siora Bettina di seguirlo nel portichetto. Il chierico vi ritornò a dire che la signorina non era rientrata.
Allora don Emanuele riferì alla Fantuzzo il dialogo seguito la sera prima fra Lelia e l’arciprete. La Fantuzzo, che non aveva ancora veduto suo cognato dopo