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26 | CAPITOLO PRIMO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:38|3|0]]lodia di dolore e di amore, nata da inconsci ricordi belliniani:
Vieni, dicea, concedi
Ch’io mi prostri ai tuoi piedi.
Mai, certo in vita sua, Marcello non aveva costretto il suo piano a cantare così: Lo sentiva e ne godeva, pur non fermando in questo il pensiero; e alla sua commozione si confondeva un’ombra di tenerezza per il vecchio strumento sfiatato, per il confidente dei suoi sogni, disprezzato da Lelia, prossimo a qualche miserevole fine.
Suonava, suonava, nè gli veniva in mente che altri lo ascoltasse. Teresina, che per quella notte si era prudentemente preparato il letto in una camera a terreno, udito il piano, corse fuori a spiare, vide il padrone, salì tremante, smarrita, ad avvertire Lelia che dormiva al primo piano, verso levante, si consultò con lei. Era in sè, il padrone? O cominciava un processo mentale morboso? Non sarebbe opportuno di scendere, di persuaderlo a coricarsi? Chi dovrebbe scendere? Lei o la signorina? Aiutò Lelia a vestirsi in fretta, ripetendo sottovoce: Gesù, Gesù! Lelia non disse niente, risoluta di vedere e di udire, anzi tutto. Scivolarono ambedue, pian piano, in punta di piedi, nella galleria ove montano dal salone, congiungendosi pochi gradini più sotto, le due branche della scala di legno. Dalla galleria si guarda giù nel salone per l’apertura della scala e anche fra le colonnette che legano, ai due lati di quell’apertura, un parapetto al soffitto. Ma neppure sporgendo il capo fra colonnetta e colonnetta era possibile vedere il piano. Le due donne, poichè il signor Marcello era un po’ sordastro, osarono calare per la scala, prendere la branca di destra fino al punto in cui videro bene il dorso del suonatore, curvo nel fioco lume della lucerna posata