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390 | CAPITOLO DECIMOQUINTO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:402|3|0]]pace. Uno zelante le spruzzò dell’acqua in viso «No no, el capelo!» gemette l’infelice, temendo che le annaffiassero il cappello: una rovina! Visto che i guai non erano troppo serii, restarono con lei soltanto la giornalaia della stazione e il cameriere del caffè. «Gnente gnente» ripeteva la giornalaia, a caso. «La vedarà, signora, la vedarà, signora.»
«Oh Dio» gemette la siora Bettina quando si fu alquanto ricuperata. «Quela xe andà in convento, quela xe andà in convento. E mi che son qua sola!»
Parve alla giornalaia che il suo sgomento di trovarsi sola superasse il dolore della fuga di quell’altra. Le domandò se quell’altra fosse sua figlia. «Gesummaria no» rispose la derelitta. Si alzò a stento dicendo che voleva ritornare ad Arsiero subito subito. Il cameriere corse fuori e ritornò colla notizia che il treno di Arsiero era partito da cinque minuti. Intanto capitò nel caffè un applicato di P. S. e si avvicinò alla Fantuzzo per chiederle informazioni di questa fuga di cui tutti, nella stazione, parlavano. La Fantuzzo si confuse come se avesse a fronte il ministro dell’Interno. Allora l’applicato, per usarle cortesia, le domandò se supponesse quale direzione avesse preso la sua compagna e se desiderasse venirne in chiaro. La siora Bettina rispose che la credeva diretta a Desenzano. L’applicato andò a informarsi. Riferì che nessun biglietto era stato preso per Desenzano.
II.
La lettera di Lelia, imbucata nella cassetta postale della stazione di Vicenza, arrivò a donna Fedele verso le sette di sera. Donna Fedele, volendo risparmiare le proprie forze per il viaggio di Torino, non si era mossa