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402 CAPITOLO DECIMOQUINTO

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:414|3|0]]nosceva, solo per esperienza interna, la potenza della passione molto meglio che non la conoscesse il purissimo don Aurelio per le confessioni udite. Nel prender congedo malgrado le insistenze di lei, don Aurelio le promise di ritornare l’indomani alle dieci. Ella intendeva partire per Porto Ceresio alle undici.

Passò una notte insonne, però quasi senza dolori. La mattina si sentì stanchissima, dubitò di poter partire alle undici, disse alla cugina e a don Aurelio che aveva deliberato, per maggiore comodità, di far colazione a Milano e di partire tre ore più tardi. Don Aurelio le diede la notizia gradita del suo prossimo viaggio in Valsolda. Aspettava che un telegramma gli annunciasse la partenza da Roma della salma di Benedetto. Un sacerdote l’avrebbe accompagnata fino a Milano. Per il pio ufficio da Milano a Oria era stato pregato egli. Aveva accettato per impedire che la funebre cerimonia fosse turbata da discorsi o atti degni del biasimo di colui che si voleva onorare, e anche perchè così avrebbe occasione di vedere Massimo. Gli amici di Roma avevano incaricato Massimo delle pratiche necessarie per la tumulazione nel cimitero di Albogasio e per un discorso sulla bara. Poche ore prima dell’arrivo di donna Fedele a Milano, don Aurelio aveva ricevuto da Massimo una triste lettera. Diceva di avere eseguite le pratiche ma di non voler fare il discorso perchè solamente un cattolico poteva farlo ed egli non si sentiva più tale. Don Aurelio lo riferì con gran dolore.

A colazione donna Fedele non potè prender cibo. Altri forestieri seduti a colazione la guardavano per i suoi capelli bianchi, per i suoi grandi occhi bruni, per l’aria sofferente, per la fisonomia e i modi di gran dama. Due signorine inglesi ne parevano affascinate. Preferì trascinarsi a piedi alla stazione anzi che salire nell’omnibus e scenderne per un tragitto di pochi passi. Fece mon-

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