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NOTTE E FIAMME 419

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:431|3|0]]rarono un carbonaio, una guardia di finanza, una donna che portava dei funghi. Lelia pensò che avrebbe potuto domandare del dottor Alberti. Non osò. A piedi dell’ultima salita ombreggiata di noci, sul ponticello presso il quale sta una cappellina, si appoggiò al parapetto, esausta, tremante, quasi sfiduciata di poter proseguire. Sulla gradinata che sale una vecchia stava raccogliendo noci. Lelia mandò il ragazzo a domandarle se conoscesse il dottor Alberti. La vecchia era sorda e scimunita. Non capì. Lelia si rizzò con uno sforzo. Passando davanti alla cappellina vi guardò dentro. Vide statue dipinte, una scena della Passione, il Crocifisso, la Maddalena. Le parve che, se vi fosse stato il solo Crocifisso, si sarebbe inginocchiata di slancio a pregare. Così passò oltre.

Giunta alla svolta dove mette capo il viottolo di Drano due minuti sotto Dasio, sedette sul primo scalino del viottolo, ordinò al ragazzo di salire all’albergo dal nome scritto nel suo cuore. Doveva semplicemente chiedere se il signor dottor Alberti fosse in casa e venir a riferire la risposta. La risposta, attesa con un febbrile tremito di tutte le membra, fu che il dottore non era in casa. Allora Lelia, copertosi il viso colle mani, pensò.

Pensò a lungo, angosciata di sentirsi sola, sola, sola. Si scoperse il viso e guardò, come cercando consiglio, il folto verde davanti a lei, scendente nel vallone di cui vedeva l’opposto fianco. Tutto era indifferenza e pace. Rimandò in su il ragazzo colla preghiera che qualcuno dell’albergo scendesse a parlare con lei.

Venne una ragazza dall’acconciatura cittadinesca, dai modi cortesi. Per Lelia domandare di Alberti era un supplizio mortale. Non potendone a meno, preferiva farlo così, parlare con una persona sola piuttosto che all’albergo, in presenza Dio sa di quanti curiosi. Seppe

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