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NOTTE E FIAMME 421

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:433|3|0]]sarebbe stato felice di rendere un omaggio privato all’amico, al maestro; ma l’omaggio pubblico significava un’adesione a credenze, a idee, che non erano più le sue. Rifiutarlo sarebbe stato quasi un’ingiuria; prestarlo sarebbe stato quasi del tutto un’ipocrisia. Benedetto era il Credo cattolico integrale, la fede incrollabile nella Chiesa, la obbedienza mansueta e umile all’Autorità. Massimo non credeva più. Aveva cominciato collo staccarsi mentalmente da Roma, col persuadersi che il Cattolicismo romano fosse condannato a morte. Poi, rapidamente, si era staccato anche da Cristo divino e risorto. La rapidità della rovina non era che apparente. Da molto tempo la sola compressione dell’obbligo religioso, imposto dalla Chiesa, manteneva solide nell’animo suo le credenze cristiane tradizionali, disgregantisi per l’azione di una critica continuamente assorbita da letture e da conversazioni. Respinta l’autorità della Chiesa, si rivelavano improvvisi gli effetti di quell’azione dissolvitrice. Oggi Cristo non era più divino per lui nè risorto; domani toccherebbe al Dio personale di crollare nella sua mente. Il primo passo, la liberazione da Roma, gli sarebbe riuscito dolce se il rompere con Roma non fosse stato un rompere col suo proprio passato di pubblico propugnatore della fede cattolica. Ma del successivo sprofondare verso l’agnosticismo si atterriva, si disperava tanto che talvolta lo assalivano accessi di reazione, fugaci e violenti. Quella notte stessa, pensando il proprio stato di coscienza e Benedetto, aveva acceso il lume in una convulsione di dolore e di speranza, si era inginocchiato sul letto davanti al quadro del Salvatore e di Pietro che s’incontrano sulle acque, aveva domandato fede fede fede, con gemiti inenarrabili. Presto la fiamma dell’anima gli era venuta meno. Gli era parso che le cose mute lo deridessero. Si era deriso egli stesso. Spento il lume, aveva morso il guanciale invocando Lelia. Si

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