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32 | CAPITOLO PRIMO |
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Marcello, offeso, si turbò.
«Perchè?» diss’egli, severo.
«No, caro papà, non posso, non posso! Non parliamo più di queste cose! Si ritiri, vada a riposare!»
«Ma perchè?» replicò Marcello. «Dimmi perchè!»
Lelia gli prese il braccio, lo supplicò di non parlarne più, almeno quella sera.
«Ma bisogna che tu ti spieghi!» esclamò egli. Il cruccio gli saliva, più e più scuro, nella faccia sepolcrale.
Allora Teresina, che spiava tuttavia dall’alto, udendo il padrone alzar la voce, accese la luce nella galleria dove stava, chiamò la signorina, disse di averla cercata in camera inutilmente. Le occorrevano certe chiavi per l’indomani mattina, per il caffè del forestiere. Lelia si congedò timidamente, pian piano: «papà... buona sera...» come supplicando di essere lasciata partire. Il signor Marcello non parlò, mosse lento, curvo, verso il piano, prese la lucerna, se ne andò spenzolandola, senza saluti.
Chiuso dietro a sè l’uscio della sua camera, posata la lucerna sul tavolino da notte, si svestì adagio, pieno di malcontento come uno che avviandosi stanco, assonnato, al letto del suo riposo, lo veda tanto sossopra da dovere spender fatica e tempo a rifarlo. I muscoli della faccia sepolcrale si contrassero in un afflusso di pensiero iroso e duro. Dubitava di aver letto nel cuore di Lelia le ragioni della ripulsa che l’offendeva. Lelia non voleva essere sua erede perchè non si sentiva la forza di tener lontani i suoi genitori e capiva che la loro presenza alla Montanina sarebbe stata una offesa mortale alla memoria di lui. Gli bastava di pensare a quei due per intorbidarsi nell’anima e nel viso. La fantasia glieli mostrò un momento trionfanti, spadroneggianti nella sua casa. Oh questo no, mai. Benedetta ragazza che non aveva saputo aspettare! Era bene a quel punto lì ch’egli voleva condurre il discorso. Si era