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474 | CAPITOLO DECIMOSETTIMO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:486|3|0]]silenzio, coloro che portavano lumi le si schierarono a lato, lungo i due parapetti del ponte. Il sacerdote, in cotta e stola, si addossò alla cabina del pilota, di fronte alla bara. In silenzio, una folla si accalcò indietro, lasciando libero lo spazio fra la bara e i portatori di torce. Don Aurelio, Massimo e i giovani venuti da Roma si disposero a fianco del sacerdote. Senza un comando, le passerelle furono ritirate sul ponte di sbarco, gli uomini di bordo fecero scostare il piroscafo a forza di braccia, il capitano si chinò sul portavoce, gli stantuffi scrosciarono, le ruote colpirono l’acqua, pesanti e lente. Quando il piroscafo, compiuto un quarto di giro, mise la prora verso l’alto lago, il parroco di Albogasio intuonò il rosario. La folla rispose. Al monotono coro faceva cupo accompagnamento l’eguale misto fragore degli stantuffi, delle ruote, dell’acqua rotta dalla prora. Simile a un vascello fantasma, il piroscafo rompeva così i silenzi del lago immobile e delle sponde addormentate, rompeva le tenebre colle due fila di accesi ceri funerei.
Massimo teneva gli occhi fermi al drappo nero colle frange di argento. La tenerezza per lui che aveva palpitato dentro quella spoglia; le calunnie, le ingiurie, le offese di ogni maniera di cui la povera forma era stata segno insieme allo spirito, suo informatore; il pensare la diserzione sua propria compiuta mentre altri, come i venuti da Roma, che gli stavano presso, aveva serbato fede alla memoria diletta malgrado il disprezzo, le derisioni, gli odii del mondo, fecero nell’anima sua tale un tumulto indistinto di amore, di dolore, di rimorso, ch’egli non vi potè reggere, si ritirò pian piano a poppa, scese sotto coperta, pianse amaramente, confuse il suo gemito all’eguale misto fragore degli stantuffi, delle ruote, delle spume fuggenti: «No, no, caro,