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480 | CAPITOLO DECIMOSETTIMO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:492|3|0]]Dirò quelle che tu vuoi da me. La tua montagna dia vento che non le disperda ma le porti lontano, dovunque si è detto di te con affetto e rispetto, con ira e ingiuria.
Udite. Quest’uomo ha molto parlato di religione: di fede e di opere. Non Pontefice sentenziante dalla cattedra, non profeta, ha potuto, molto parlando, molto errare, ha potuto esprimere proposizioni e concetti che l’autorità della Chiesa avrebbe ragione di respingere. Il vero carattere dell’azione sua non fu di agitare questioni teologiche nelle quali potè mettere il piede in fallo; fu il richiamo dei credenti di ogni ordine e stato allo spirito del Vangelo, fu la determinazione del valore religioso di questo spirito incarnato nella vita, nei sentimenti e nelle opere degli uomini. Egli proclamò sempre il suo fedele ossequio all’autorità della Chiesa, alla Santa Sede del Pontefice Romano. Vivente, si glorierebbe di offrirne la prova e l’esempio al mondo. È nel nome suo che io lo affermo! Egli seppe che il mondo disprezza l’obbedienza religiosa come una viltà. Egli ha disprezzato alla sua volta, fieramente, i disprezzi del mondo, il quale glorifica l’obbedienza militare e i sacrifici che impone benchè l’autorità militare sia assistita da carceri e manette, da polvere e piombo; e l’autorità religiosa da niente di tutto ciò. Nulla egli amò sulla terra quanto la Chiesa. Pensando alla Chiesa, si paragonava alla menoma pietra del più gran Tempio, che, se avesse anima, si glorierebbe di essere una cosa coll’edificio colossale, di venirne in ogni senso compressa. Sì, egli credette conoscere gli spiriti mali che l’Inferno scatena dentro la Santa Chiesa, che non prevarranno, noi lo sappiamo per la promessa divina, contro di lei, ma possono infliggerle ferite crudeli congiurando con altri spiriti mali, infurianti nel mondo. Egli credette