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LA DAMA BIANCA DELLE ROSE 485

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:497|3|0]]la cugina Eufemia. La cugina Eufemia era serena. Se il suo affetto per donna Fedele toccava l’adorazione, il timore di non sapere umilmente accettare la volontà di Dio le premeva sul cuore ancora più. Ella prestava senza posa le sue cure all’ammalata, andava e veniva, grave, tranquilla, senza lagrime. Una volta sola fu per venir meno ai suoi propositi di fortezza, quando l’inferma, stendendole la mano, le disse con un’ombra del suo sorriso antico:

«Salutami le tue sorelle.»

La povera vecchietta strinse le labbra, non rispose parola. La dolcezza pia della morente, il contegno della cugina Eufemia significante uno stato d’anima tanto umile e insieme tanto alto, erano per Lelia uno spettacolo nuovo che la penetrava di stupore, di riverenza. Alle sei, avendo il prevosto preso licenza colla promessa di ritornare alle sette, donna Fedele pregò il medico e la cugina di uscire, chiamò Lelia al suo letto e le accennò d’inginocchiarsi per poterle cingere il collo di un braccio.

«Cara» diss’ella, «di’ a Massimo che pensando a lui e alla sua povera mamma sono morta con un dolore e con una speranza. Glielo dirai?»

Straziata da un interno combattimento perchè le pareva d’indovinare quel dolore e quella speranza, nè li poteva fare suoi proprii; perchè l’idea di esercitare per mandato una pressione sullo spirito di Massimo l’atterriva e tuttavia il rifiutarsi a quel desiderio sarebbe stato orribile, Lelia rispose un sì che non ingannò la morente. Questa le tolse il braccio dal collo con un sospiro, mormorò che avrebbe avuto tante altre cose a dire ma che non se ne sentiva la forza. Si fece porre nelle mani un Crocifisso e non parlò più fino alle nove. Alle nove domandò di Massimo. Verso le nove e mezzo, Lelia,

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