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48 | CAPITOLO SECONDO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:60|3|0]]infilò il braccio sotto quello di Massimo e strinse affettuosamente il giovine a sè. Don Aurelio, nativo di Roma, aveva studiato a Propaganda col proposito di farsi missionario. Una lunga malattia e la volontà dei Superiori, che diffidavano della sua resistenza fisica, lo avevano costretto a rinunciarvi. Amico intimo del benedettino don Clemente, di Santa Scolastica in Subiaco, aveva conosciuto Benedetto a Subiaco, lo aveva riveduto, anche per desiderio dell’amico, a Roma, si era legato di grande affetto a lui e a Massimo. Nella convalescenza di una recidiva il suo medico gli consigliò l’aria di montagna. Un prete vicentino, stato suo condiscepolo e suo estimatore a Propaganda, volle adoperarsi perchè il vescovo di Vicenza lo accogliesse nella sua diocesi e lo destinasse alla curazia di Lago di Velo. Il mansueto don Aurelio lasciò fare, contento che la Provvidenza disponesse di lui, contento di avere a comunicare in Cristo con anime semplici, contento di conservarsi nella sua nativa povertà. E venne a Lago, solamente questo sapendo della sua nuova residenza, ch’era ben povera. Non dimenticò l’anima cara di Massimo. Gli scriveva spesso, vegliava sopra di lui, non come un padre disposto ad assisterlo nelle sue lotte di fervente discepolo dell’uomo sepolto a Campo Verano, ma come una madre che trepidasse per l’anima sua. Lo sapeva tentato fieramente d’ira e di odio per la ingiusta guerra che gli era mossa da opposti lati; lo sapeva tentato di deviare dalla retta dottrina religiosa come ne avevano deviato non pochi amici suoi, quali per innato orgoglio, quali per impeti di reazione; lo sapeva tentato, finalmente, anche dalle corruzioni del mondo. Sapeva, per confidenze dello stesso Massimo, di donne belle ed eleganti che gli si erano offerte. Sapeva com’egli avesse a lottare col proprio profondo senso poetico della donna, forse più duramente an-