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58 CAPITOLO SECONDO

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Don Aurelio lo interruppe.

«No, caro, non è possibile, ti dirò...»

E perchè leggeva nel viso di Massimo altre domande, altri sospetti, parole di dolore, parole di sdegno, lo spinse via:

«Va va dal signor Marcello che t’aspetta, va, parleremo, adesso devo cercare quel disgraziato, devo impedire che faccia qualche sciocchezza, va, va! Il signor Marcello mi ha invitato a colazione. Se posso, vengo.»


Il messaggio dell’arciprete conteneva una lettera della Curia Vescovile di Vicenza coll’asciutto licenziamento di don Aurelio, dentro il termine di quindici giorni, dalla curazia di Lago di Velo. Conteneva inoltre alcune corrette righe dell’arciprete, il quale, dicendosi dolente della inattesa comunicazione, pregava don Aurelio di voler provvedere a che, dentro il termine stabilito, la casa fosse libera da mobili e da persone; il suo successore dovendo portare con sè la madre e una sorella.

Era un’amara cosa venir cacciato da quel nido di pace, separato dal piccolo, caro gregge, non saper dove trovare un tetto, un pane. Libera da mobili e da persone. Non era possibile che lo cacciassero per causa d’Ismaele, ma qualchecosa, poste le circostanze, quella parola persone significava.

Passato il primo momento di stupore e di dolore, don Aurelio si era sentito nell’anima una dolcezza serena, quasi per le mani amorose di Cristo, che gli posassero sul capo. Adesso non pensava più affatto al suo triste caso, pensava soltanto a due cose: a trovare il venditore di Bibbie e a certo discorso gravissimo, delicatissimo, che il signor Marcello gli aveva fatto in sagrestia, dopo la messa.

Passò, camminando in fretta, davanti a un’osteria solitaria. L’oste, un lombardo barbuto, stato giardiniere al

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