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FUSI E FILA | 75 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:87|3|0]]momento, per lui. Gli si alzarono in mente, con un debole moto, le parole «allora vado a Milano» e ricaddero. Tacque.
Lelia non aveva mai aperto bocca dopo incontrato lo sguardo che diceva «prende interesse a me?» Non si perdonava lo sguardo proprio. Capiva il dispiacere del signor Marcello; non capiva che don Aurelio non desiderasse il suo amico a Sant’Ubaldo. Questo era un enigma, per lei. E si lavorava in cuore un artificiale disprezzo per Massimo, che, volendo veramente partire, avrebbe dovuto, invece di parlarne a colazione, scendere più tardi colle sue valigie fatte e dire al signor Marcello: non c’è più ragione che lo stia qui, me ne vado. Naturale, il signor Alberti preferiva una bella camera, una bella casa, una buona tavola alla stamberga e alla cucina penitenziale del curato di Lago.
Anche modernista, era, dunque! Di modernismo Lelia sapeva meno che niente. Le era antipatico il nome, antipatico il senso che gli attribuiva nella sua ignoranza. Ella non aveva mai considerato il perchè del suo fedele seguire automatico le pratiche religiose. Creatura d’istinti e di passioni piuttosto che di ragionamento, non si sentiva legata per niente da quelle pratiche nei moti della fantasia e delle idee. Concepiva il modernismo non come uno sforzo di adattamento del cattolicismo tradizionale all’ambiente moderno ma come una dottrina che agli obblighi religiosi antichi della tradizione cattolica ne sostituisse di nuovi, più estesi, più indeterminati, più pesanti.
Qualche volta pregava di cuore, sempre nelle forme tradizionali e non mai mentalmente, per obbietti immediati, particolari e non per amore divino, per elevazione dello spirito; ma con impeto sincero. Le piaceva di poter pregare così. Si figurava, e le era odioso, che il modernismo fosse inconciliabile colla preghiera tradi-