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76 | CAPITOLO SECONDO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:88|3|0]]zionale. Il solo carattere del modernismo che potesse sedurla era quello di sorgere come una ribellione; ma lo giudicava una ribellione a mezzo, un aborto di ribellione. E il signor Alberti era un modernista! Ciò l’aiutava nei suoi propositi di disprezzo.
Le frutta erano state servite. Ella si alzò.
L’ostinato silenzio di lei dopo lo sguardo di fuoco, che gli bruciava nel cuore sempre più forte come una ferita nel raffreddarsi, si accordava nella mente di Massimo con quello sguardo, continuava la rivelazione lenta, paurosa della Sfinge marmorea. Nell’alzarsi cogli altri all’alzarsi di Lelia, il giovine ricordò certe parole volgaruccie di un amico, di cui si seccava ancora nella memoria: tu non hai ancora preso cotte ma quando ne prenderai una, sarà fulminea e terribile. Entrando nel salone dietro a lei, le vide sulla nuca bianca un lieve spruzzo di minuti rossori. Gli fece bene di vederli; gli parve che almeno l’attrazione fisica di quella strana creatura ne fosse un poco diminuita. E prese a braccetto don Aurelio, si dolse affettuosamente che non lo volesse a Sant’Ubaldo. Don Aurelio aveva trovato la scappatoia buona. «Mi comprometti, mi comprometti!» diss’egli, ridendo di quel suo riso che gli faceva sobbalzare la persona. «Non è vero, signorina?»
«Tanto,» diss’ella, senza guardare nè l’uno nè l’altro, «oramai mi pare lo stesso.»
E si dispose a servire il caffè. Don Aurelio era tardo a raccogliere le scortesie e non raccolse neppure questa che feriva Massimo più di lui. Mormorò umilmente: «Scherzo, scherzo» e soggiunse nella sua innocente inesperienza di certi sottintesi:
«Povero Massimo, non può compromettere nessuno.»
Massimo rimase un po’ male ma non fiatò. Lelia ebbe