< Pagina:Lettere d'una viaggiatrice - Serao, 1908.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

a verona 113

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Lettere d'una viaggiatrice - Serao, 1908.djvu{{padleft:120|3|0]]intorno ad essi, invano fervono le ire di parte e scorre il sangue, essi vanno, vanno, chiusi nella loro ebbrezza divina, vanno, coi loro piedi verso la morte, poiché l’amore è più forte di essa! Leggeste mai, in nessun poema, di nessuna lingua, un dialogo di amore come quello del balcone, nella notte, fra Giulietta e Romeo? Dove è mai quel giardino? Dove è mai quel balcone, a cui Romeo si arrampicò, per cader fra le braccia di Giulietta? Ramentate la parola suprema: «amore mio, odi quel canto? È l’allodola, è l’alba, io debbo partire, Giulietta! — No, amore, non è l’allodola, è l’usignuolo: resta ancora...»

O amanti, amanti che non sapete nulla, perchè mai non ve ne andate, insieme, con le mani intrecciate, presi dal vostro tacito e possente delirio, trascinati dal più gentile e pio desiderio, per le vie di Verona, cercando il giardino di Giulietta e il balcone di pietra per cui salì alla felicità il bellissimo Romeo? Perchè non mettete questa magia dei ricordi amorosi, questo augurio di passione nel vostro delirio? Che fate voi per il mondo, a Parigi, a

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.