< Pagina:Lettere d'una viaggiatrice - Serao, 1908.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

alla frontiera 451

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Lettere d'una viaggiatrice - Serao, 1908.djvu{{padleft:458|3|0]]di rugiada, coi loro fiorellini dalle tinte sempre più delicate, gli alberi scompariscono: oltre i milleottocento metri, e è ben difficile trovare, più, boschi e boschetti, il verde dei pascoli, soltanto, si alterna con le roccie, brulle. Ancora, in agosto, vi sono anfrattuosita di terreni, ove restano dei nevai, intatti: tutto il sole estivo non è giunto a liquefare quella neve, e fra quindici giorni forse, o prima, fioccherà di nuovo e la nuova neve verrà ad aggiungersi colà. L’aria è lievissima: la luce è limpidissima: un picciol lago s’incornicia fra i pascoli, verde sugli orli, azzurro in mezzo, secondo che rifletta le prode o il cielo. Un silenzio alto è intorno, infranto solo dai campanelli dei cavalli, che ci trasportano e tinniscono, al piccolo trotto delle povere bestie, che sentono il ricovero vicino. Allo squillo argentino, ecco, dall’ospizio, per la rozza strada esterna, i grandi cane di san Bernardo, i grandi cani possenti, che non temono il freddo, che conoscono i precipizii, che hanno occhi così dolci, così umani, più belli, certo, di tanti sciocchi o perversi occhi umani E giorno: è estate: noi siamo placidi e curiosi touristes,

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.