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— Comanda qualche cosa Vostra Maestà? — interrogò una voce in fondo alla camera.
Girolamo voltò impercettibilmente il capo.
— Nulla, mio caro Pigault...., — mormorò egli. — Io pensavo soltanto....
Pigault-Lebrun; il bibliotecario e leggitore del re, che s’era tenuto fino a quel punto modestamente in disparte per non disturbare le meditazioni, o il chilo che fosse del suo alto sovrano, fece due passi avanti.
Egli poteva far tanto, perchè nessuno a corte possedeva al pari di lui la confidenza di Girolamo. Una biblioteca propriamente non v’era: del sentir leggere il re non si dilettava troppo; perciò Pigault-Lebrun aveva una carica molto facile, ed egli impiegava le sue ventiquattro ore di libertà, di cui disponeva giornalmente, esclusivamente in affari dell’ordine più elevato di passatempi. Veglie all’italiana, fuochi artificiali, balli, conviti, trattenimenti musicali, avventure d’amore, tutte quante insomma le cure governative della corte di Vestfalia, stavano sotto la sua suprema direzione; e poichè egli spiegava in questo un genio incomparabile, Girolamo gli donava tutto il tesoro del suo principesco amore.
Pigault-Lebrun si trasse dunque innanzi, e disse con un tono melodioso di voce:
— Ah, sire, voi siete preoccupato! Avrebbe mai alcuno avuto la disgrazia di spiacervi in qualche cosa?
La maestà del re scosse il capo.
— No, Pigault; — rispose lentamente — io non ho che a lodarmi e di te e di tutti i miei fidi; ma tu vedi....
E non andò più avanti.
Pigault-Lebrun si accostò di altri due passi, e potè vedere il re pienamente in viso. Quel velo di malinconia che copriva le fattezze già così serene del re, gli produsse una penosa impressione.
— Vostra Maestà è di cattivo umore — disse finalmente
con un certo ritegno... — Forse non ha trovato il pranzo