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di Tito Lucrezio Lib. II. | 77 |
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Poichè sovente innanzi a’ venerandi
Templi de’ sommi Dei cade il vitello
Presso a fumante Altar d’arabo incenso
505E dal petto piagato un caldo fiume
Sparge di sangue; ma l’afflitta ed orba
Madre pe’ boschi errando in terra lascia
Del bipartito piede impresse l’orme:
Cerca co’gli occhi ogni riposto luogo
510S’ella veder pur una volta possa
Il perduto suo parto, e ferma spesso
Di queruli mugiti empie le selve;
E spesso torna dal desio trafitta
Del caro figlio a riveder la stalla;
515Nè rugiadose erbette, o salci teneri,
Mormoranti ruscelli: o fiumi placidi
Non posson dilettarla, o sviar punto
L’animo suo dalla nojosa cura;
Nè degli altri giovenchi altrove trarla
520Le mal note bellezze, o i grassi paschi
Alleviarle il duol, che la tormenta:
Sì va cercando un certo che di proprio,
Ed a lei manifesto. I tenerelli
Capretti in oltre alle lor voci tremule,
525Ed al rauco belar gli agni lascivi
Riconoscono pur l’irsute madri,
E le lanose: in cotal guisa ognuno,
Qual Natura richiede, il dolce latte