Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
108 | di Tito Lucrezio Lib. II. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Lucrezio e Fedro I.djvu{{padleft:136|3|0]]
D’ogni proprio ricetto al fin la scaccia.
Poichè qual altra cosa oprar può mai
1340Negli animali un violento colpo,
Se non crollargli, e dissipargli in tutto
Succede ancor, che per minor percossa
Pon del moto vital gli ultimi avanzi
Vincer sovente; vincere, e del colpo
1345Acquietare i grandissimi tumulti,
E di novo chiamar ne’ proprj alberghi
Ciò che partissi, e nell’afflitto corpo
Moti produr signoreggianti omai
Di morte, e dentro rivocarvi i sensi
1350Quasi smarriti: che per qual cagione
Posson più tosto ripigliar vigore,
E dallo stesso limitar di morte
Tornare in vita, che partirsi, ed ire
Là dove già quasi è finito il corso?
1355Perchè il duolo, oltre a questo, allor si genera
Che per le membra, e per le vive viscere
Da qualche violenza i primi corpi
Vengono stimolati, e nelle proprie
Lor sedi interamente si conturbano;
1360Ma quando poscia alla lor propria stanza
Tornano, il lusinghevole, piacere
Tosto si crea, quindi saper ne lice,
Che mai non posson da dolore alcuna
Essere afflitti i genitali corpi,