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di Tito Lucrezio Lib. III. 121

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  Tu di cose inventor; tu Padre sei;
  Tu ne porgi paterni insegnamenti:
  E qual succhiar da tutti i fiori il mele
  Soglion le pecchie entro le piagge apriche;
  20Tal io dalle tue dotte inclite carte
  Gli aurei detti delibo ad uno ad uno,
  Aurei, e di vita sempiterna degni.
  Che non sì tosto a sparger cominciossi
  Il tuo parer, che dagli Dei creata
  25Delle cose non sia l’alma natura,
  Che dalle menti ogni timor si sgombra:
  Fuggon del Mondo le muraglie, e veggio
  Pe ’l Vuoto immenso generarsi il tutto;
  De’ sommi Dei la maestà contemplo,
  30E le sedi quietissime da venti
  Non commosse giammai; nè mai coverte
  Di fosche nubi, o d’atri nembi asperse,
  Nè violate da pruine, o nevi,
  O gel; ma sempre d’un sereno e puro
  35Etere cinte, e d’un diffuso, e chiaro,
  E tranquillo splendor liete, e ridenti.
Natura in oltre somministra all’uomo
  Ciocchè gli è d’uopo, e la sua pace interna
  Non turba in alcun tempo alcuna cosa;
  40Nè più si mira a’ danni nostri aperto
  L’Inferno, e scritte di sua porta al sommo
  L’acerbe note di colore oscuro:

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