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di Tito Lucrezio Lib. III. 127

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  In oltre allor che per le membra serpe
  La placida quiete, e giace effuso,
  180E privo d’ogni senso il grave corpo,
  È pure in noi qualche altra cosa intanto
  Che s’agita in più modi, e che in se stessa
  Ricever può d’ogni allegrezza i moti,
  E le noje del cor vane, e fugaci.
185Or acciocchè tu sappia anco, che l’alma,
  Abita nelle membra, e che non puote
  Dalla sola Armonia reggersi il corpo,
  Pria convienti osservar, che spesso accade,
  Che gran parte del corpo altrui vien tolta;
  190E pur dentro alle membra ancor dimora
  La vita, e l’alma: e pe ’l contrario spesso
  Non sì tosto fuggiro alcuni pochi
  Corpi di caldo, ed esalò per bocca
  Il chiuso spirto, che le vene, e l’ossa
  195Lascia prive di se l’alma, e la vita.
  Onde tu possa argomentar da questo,
  Che non di tutti i corpi in tutto eguali
  Son le minime parti, e che non tutte
  La salute sostentano egualmente;
  200Ma che i semi del tiepido vapore,
  E quei dell’aura, a conservar la vita
  Viepiù son atti. Entro del corpo adunque
  È lo spirto vitale, e il caldo innato,
  Che lascia al fin le moribonde membra

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