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di Tito Lucrezio Lib. III. 137

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  Fra paurosi Cervi, e Leon fieri.
  Tale anch’è l’uman Germe; e benchè molti
  450Siano egualmente di dottrina adorni,
  Restan però nella natura impresse
  Di qualunque alma le vestigie prime.
  Ne già creder si dee, che la virtude,
  Siasi quanto esser voglia eccelsa e grande,
  455Sveller possa giammai dalle radici
  Dell’uomo i vizj; e proibir, che Questi
  Più facilmente non trascorra all’ire;
  Quei dal freddo timor più presto alquanto
  Assalito non venga; e più del giusto
  460Non sia quell’altro placido, e clemente:
  Anzi è mestier, che in altre cose cose assal
  Degli uomini fra lor sian differenti
  Le nature, e diversi anco i costumi;
  Che dipendon da quelle. E s’io non posse
  465Di tai cose spiegar le cause occulte,
  Nè tanti nomi di figure imporre,
  Quanti d’uopo sariano a quei principj,
  Onde sì gran diversità di cose
  Nasce nel mondo, io per me credo almeno
  470Di potere affermar, che i naturali
  Primi vestigj, che non puote affatto
  Discacciar la ragion, sì lievemente
  Restino impressi in noi, che nulla possa
  Vietare all’uom, che placida, e tranquilla,

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