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168 di Tito Lucrezio Lib. III.

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  1285Nè punto differir da quei, che nati
  Unqua al mondo non son quegli, a cui tolta
  Fu da morte immortal vita mortale.
  Onde se vedi alcun, che di se stesso
  Abbia compassion, perchè sepolto
  1290Dopo morte il suo corpo, imputridirsi
  Debba, o da fiamme ardenti esser consunto,
  O dilaniato da rapaci augelli,
  O da fiere sbranato, indi ti lice
  Saper, che non sincero il cor gli punge
  1295Qualche stimolo cieco, ancorch’ei neghi
  Di creder, che sentir dopo la morte
  Si possa alcuna cosa, onde non serba
  Ciò che promette largamente altrui,
  Ne dalla vita se medesmo affatto
  1300Stacca; ma no ’l sapendo, alcuna parte
  Fa, che resti di se: che mentre vivo
  L’uom pensa, che morendo o degli augelli
  Fia pasto il proprio corpo, o delle belve,
  Testo di se medesimo gl’incresce,
  1305Sol perchè non si libera a bastanza
  Dal corpo a gli animai gettato in preda;
  Ma quel si finge, e del suo proprio senso
  L’infetta;, e quindi a lui stando presente
  D’esser nato mortal sdegna, e non vede,
  1310Che nella vera morte esser non puote
  Nessun altro se stesso, il qual vivendo

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