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172 di Tito Lucrezio Lib. III.

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  T’offende omai, per qual cagione; o stolto
  Cerchi d’aggiunger più quel, che di novo
  1395Dee malamente dissiparsi, e tutto
  Perire a te nojoso?, e non piuttosto
  Fine alla vita, ed al travaglio imponi?
  Conciossiacchè oggimai nulla mi resta,
  Che macchinar per te, nè trovar posso
  1400Cosa, che più ti piaccia. Il mondo è sempre
  Lo stesso, e se per gli anni ancor non langue
  Il corpo tuo; se per vecchiezza estrema
  Non hai le membra affaticate e stanche,
  Sappi, che nondimen ciò che ti resta
  1405Sarà sempre il medesmo, ancorchè vivo
  Stessi ben mille, e mill’etadi, ed anco
  Mai per morir non fossi. E qual risposta
  Dar potrem noi, se non che la natura
  Giusta lite ne move, e il vero espone
1410Ma chi più del dover s’ange, e lamenta
  D’esser nato mortal, con più ragione
  Non fia sgridato o rampognato in voce
  Viepiù alta, e severa? Asciuga, o stolto,
  Dagli occhi ’l pianto, e le querele affrena;
  1415E se per troppa età vecchio, e canuto
  Altri si duol, tu pur godesti i premj,
  Che la vita ne dà, pria che languissi.
  Ma perchè sempre avidamente brami
  D’aver quel, che ti manca; ed all’incontro

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