Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
di Tito Lucrezio Lib. III. | 175 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Lucrezio e Fedro I.djvu{{padleft:203|3|0]]
Occupi nove jugeri, ma tutto
1475Il grand’orbe terreno; ei non per tanto
Non potrà sofferir perpetua doglia,
Nè porger del suo corpo eterno pasto.
Ma Tizio è quei, che dal rapace artiglio
D’amor ghermito, e lacerato, e roso
1480Dal crudo rostro d’ansiosa angoscia;
E quei, che per qualunque altro desio
Stracciano ad or ad or noje, e tormenti.
Sisifo in oltre io questa vita abbiamo
Posto innanzi a’ nostri occhi, e quello è desso
1485Che dal popolo i fasci, e le crudeli
Securi aver desidera, e si trova
Sempre ingannato, onde si crucia ed ange:
Poichè impero bramar, che affatto è vano,
Nè mai può conseguirsi, e sempre in esso
1490Durare iatollerabili fatiche,
Questo è voler lo sdrucciolevol sasso
Portar sulla più erta eccelsa cima
Del monte alpestre, end’egli poi si ruoti
Di novo, e caggia in precipizio al piano.
1495Pascer sempre oltre a ciò l’animo ingrato
De’ beni di natura, e mai contento
Non empier, nè saziar la brama ingorda;
Qual allor che degli anni in se rivolti
Tornano i tempi, e ne rimenan seco
1500Varie, e liete vaghezze, e nuovi parti;