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di Tito Lucrezio Lib. IV. | 183 |
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Nè questo è, come par, fuor di ragione:
Poichè, qual se fanciullo infermo langue,
Fisico esperto alla sua cura intento
Suol porgergl’in bevanda assenzio tetro,
20Ma pria di biondo, e dolce mele asperge
L’orlo del nappo, acciò gustandol poi
La semplicetta età resti delusa
Dalle mal caute labbra, e beva intanto
Dell’erba a lei salubre il succo amaro,
25Nè si trovi ingannata, anzi consegua
Solo per mezzo suo vita e salute;
Tale appunto or facc’io, perchè mi sembra,
Che le cose, ch’io parlo, a molti indotti
Potrian forse parer aspre e malvage;
30E so, che ’l cieco e sciocco volgo aborre
Da mie ragioni. Io per ciò volli; o Memmio,
Con soave eloquenza il tutto esporti,
E quasi asperso d’apollineo mele,
Te ’l porgo innanzi per veder, s’io posso
35In tal guisa allettar l’animo tuo;
Mentre dipinta in questi versi miei
La natura vagheggi, e ben conosci
Quanto l’utile sia, ch’ella n’apporta:
Ma perchè innanzi io t’ho provato a lungo,
40Quali sian delle cose i primi semi,
E con che varie forme essi per se
Vadan nel vano errando, e sian commossi