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188 di Tito Lucrezio Lib. IV.

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  Forbita, e liscia superficie, avendo
  La medesima forma delle cose,
  Ch’egli altrui rappresenta, anche si stia
  Nelle scagliate immagini di quelle.
  155Conciossiachè giammai ragione alcuna
  Assegnar non si può, perchè staccarsi
  Debbiano i corpi, che da molte cose
  Son deposti, o lasciati apertamente,
  E non i più minuti, e i più sottili.
160Son dunque al mondo i tenui simolacri,
  E simili alle forme delle cose,
  I quai benchè vedersi ad uno ad uno
  Non possan; non per tanto a gli occhi nostri
  Con urto assiduo ripercossi e spinti
  165Dal piano degli specchi a noi visibili
  Fannosi al fin, nè par, che in altra guisa
  Deggiano illesi conservarsi, e tanto
  A qualunque figura assomigliarsi.
Or quanto dell’immagini l’essenza
  170Sia tenue, ascolta. E pria, perchè i principj
  Son da’ sensi dell’uom tanto remoti,
  E minori de’ corpi, che i nostri occhi
  Comincian prima a non poter vedere;
  Or nondimeno acciò che meglio provi
  175Tutto quel, ch’io propongo, ascolta, o Memmio,
  Ne’ brevi detti miei, quanto sottili
  Sian d’ogni cosa i genitali semi.

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