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di Tito Lucrezio Lib. IV. 195

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  340Guisa da tutti i corpi il corpo esala,
  E per l’aer si sparge in ogni parte;
  Nè mora, o requie in esalando alcuna
  Gli è concessa giammai, mentre ne lice
  Continuo il senso esercitare, e tutte
  345Veder sempre le cose, e sempre udire
  Il suono, ed odorar ciò che n’aggrada.
  In oltre se palpata una figura
  Al bujo, si ravvisa esser l’istessa
  Vista nel lume, e nel candor del giorno,
  350D’uop’è, che la medesima cagione
  Ecciti ’n noi la vista, e ’l tatto. Or dunque
  Se palpiamo un quadrato, e questo il senso
  La notte ne commove, or qual giammai
  Cosa potrassi alla sua forma aggiungere
  355Il dì, fuorchè la sua quadrata immagine?
  Onde sol nell’immagini consiste
  La cagion del vedere, e senza loro
  Ciechi affatto sarian tutti i viventi.
Or sappi, che l’effigie, e i simolacri
  360Volano d’ogn’intorno, e son vibrati,
  E diffusi, e dispersi in ogni banda.
  Ma perchè solo atti a veder son gli occhi
  Quindi avvien, che dovunque il volto volgi,
  Ivi sol delle cose a noi visibili
  365La figura, e ’l color ti s’appresenta;
  È quanto sia da noi lungi ogni corpo,

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