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196 | di Tito Lucrezio Lib. IV. |
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Il simolacro suo chiaro ne mostra.
Poichè allor ch’ei si vibra, in un istante
Quella parte dell’aria urta, e discaccia,
370Ch’è fra se posta, e noi. Sì questa allora
Trascorre pe’ postr’occhi, e quasi terge
L’un’, e l’altra pupilla; e così passa.
Quindi avvien, che veggiamo agevolmente
La lontananza delle cose; e quanto
375Più d’acre è spinto innanzi, e ne forbisce,
E molce le pupille aura più lunga,
Tanto a noi più lontan sembra ogni corpo;
Ch’ambedue queste cose in un baleno
Fannosi al certo. A un tempo stesso vedesi
380Quai sian gli oggetti, o quanto a noi discosti.
Nè qui vogl’io, che meraviglia alcuna
T’occupi l’intelletto, ond’esser deggia,
Che non potendo i simolacri all’occhio
Tutti rappresentarsi, ei pur bastante
385A scorger sia tutte le cose opposte.
Poichè nel modo stesso aura gelata,
Che lieve spiri, e ne ferisca il corpo
Co’ pungenti suoi stimoli, non suole
Mai commover le membra a parte a parte,
390Ma tutte insieme, e le percosse, e gli urti
Ricevuti da lor, quasi prodotti
Sembran da cosa, che ne sferzi, e scacci
Fuor di se stessa arditamente il senso.