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202 di Tito Lucrezio Lib. IV.

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  Di luce, passeggiar debba, e seguire
  530Dell’uomo i gesti, ed emularne i moti.
  Che null’altro, che aria orba di lume
  Esser può mai quel, che da noi si suole
  Ombra chiamar. Ciò senza dubbio accade,
  Perchè resta per ordine la terra
  535Priva de’ rai del sole, ovunque il passo
  Da noi si volga, e le si pari il lume;
  E quei luoghi all’incontro, onde partimmo,
  S’illustran tutti ad un ad uno. Or quindi
  Pare a noi, che l’istessa ombra del corpo
  540Sempre ne segua; conciossiachè sempre
  Novi raggi di luce in ordin certo
  Si diffondon per l’aria, e quei di prima
  Spariscon quasi lana arsa dal foco;
  Onde resta la terra agevolmente
  545Di luce ignuda;, e nella stessa guisa
  Se n’adorna, e riveste, e scuote e purga
  L’atra e densa caligine dell’ombre.
  Nè qui nulladimen gli occhi ingannati
  Punto non son; poichè dovunque il lume
  550Si trovi, o l’ombra, il veder tocca a loro.
  Ma se i raggi medesimi di luce
  Camminano in più luoghi; e se la stessa
  Ombra di qui si parta, e vada altrove;
  O pur, come poc’anzi io ti diceva,
  555Segua tutto il contrario, il ciò discernere

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