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di Tito Lucrezio Lib. IV. 205

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  610Gli occhi nell’onde rapide e tranquille,
  Parne, che il corpo suo, quantunque immoto,
  Sia portato a traverso, e che la propria
  Forza il fiume al contrario urti e respinga;
  E dovunque da noi l’occhio si volga,
  615Girne sembra ogni cosa, ed a seconda
  Nuotar dell’acque. E finalmente i portici,
  Benchè sian d’egual tratto, e da colonne
  Non mai da lor dispari abbian sostegno;
  Pur nondimen se dalla somma all’ima
  620Parte son riguardati, a poco a poco
  Stringer mostran se stessi in cono angusto,
  Più, e più sempre avvicinando il destro
  Muro al sinistro, e ’l pavimento al tetto,
  Sinchè di cono in un oscuro acume
  625Vadano a terminar. Sorto dall’acque
  A’ naviganti ’l sol par, che nell’acqua
  Anco s’attuffi, e vi nasconda il lume;
  Ma quivi altro mirar, che cielo, e mari
  Non puossi, e crederai sì di leggiero,
  630Che sian offesi d’ogn’intorno i sensi?
Zoppe in oltre nel porto a gl’imperiti
  Esser pajon le navi, e con infranti
  Arredi premer di Nettuno il dorso,
  Poichè quel, che de’ remi, e del governo
  635Sovrasta al salso flutto, e fuor n’emerge,
  Dritto senz’alcun dubbio a gli occhi appare;

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