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di Tito Lucrezio Lib. IV. 209

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  Dunqu’è mestier che ciò che appare al senso,
  In qual tempo tu vuoi, sia vero, e certo.
  720E se non puoi con la ragion disciorre
  La causa, perchè tondo appaja all’occhio
  Da lungi quel, che da vicino è quadro,
  Meglio è però, se di ragion v’è d’uopo,
  False cause assegnar, che con le proprie
  725Mani trar via quel, ch’è già noto e conto,
  E violar la prima fede, e tutti
  Scuotere i fondamenti, ove la propria
  Vita, e salute ogni mortale appoggia.
  Poichè non solo ogni ragione a terra
  730Cade; ma quel ch’è peggio, anche la vita
  Tosto vien men, che tu non credi a’ sensi,
  Ne schivar curi i ruinosi luoghi,
  Nè l’alçre cose simili, che denno
  Fuggirsi, e segui le contrarie ad esse.
  735In van dunque ogni copia di parole
  Fia contr’a i sensi apparecchiata, e pronta
  Al fin siccome oprando un architetto
  Nelle fabbriche sue torta la riga,
  Falsa la squadra, e zoppo l’archipendolo,
  740Forza è poi, che malfatto, e sconscio in vista,
  Curvo, obliquo, inchinato, e vacillante
  Riesca ogn’edificio, e già minacci
  Imminente caduta; anzi sorgendo
  Da bugiardi, ingannevoli giudici

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