< Pagina:Lucrezio e Fedro I.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

di Tito Lucrezio Lib. IV. 213

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Lucrezio e Fedro I.djvu{{padleft:241|3|0]]

  Ne riflettan per ordine l’intera
  Forma delle parole, allor che cerchi
  Per selve opache, per montagne alpestri
  Gli smarriti compagni, e li richiami
  830Con grida alte, e sonore. E mi sovviene,
  Ch’una sola tua voce, or sei, or sette
  Volte s’udìo: tal reflettendo i colli
  A i colli stessi la parola, a gara,
  Iteravano i detti. I convicini
  835Di questi luoghi solitarj han finto,
  Che Fauni, e Ninfe, e Satiri, e Silvani
  Ne siano abitatori, e che la notte,
  Con giochi, e scherzi, e strepitosi balli
  Rompan dell’aer fosco i taciturni
  840Silenzj, e dalla piva, e dalla cetra
  Tocca da dotta man spargano all’aure
  Dolci querele, e armoniosi pianti:
  E che rozzo villan senta da lungi,
  Qualor scotendo del biforme capo
  845La corona di pino il Dio de’ boschi,
  Spesso con labbro adunco in varie guise
  Anima la siringa, e fa che dolce
  Versin le canne sue musa silvestre.
  Altri han finto eziandio mostri, e portenti
  850Simili a’ sopraddetti, onde si creda,
  Che non sian dagli Dei sole e deserto
  Le lor selve tenute; e però vanno

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.