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214 | di Tito Lucrezio Lib. IV. |
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Millantando miracoli, o son mossi
Da qualch’altra cagione che troppo in vero
855D’aver gente, che l’oda, avido è l’uomo.
Or quanto a quel, che segue, a meraviglia
Non t’ascriva da te: che per gl’istessi
Luoghi, ove penetrar gli occhi non ponno,
Penetrin le parole, e sian bastanti
860A commovere il senso; il che talora
Veggiam parlando a porte chiuse insieme.
Conciossiachè trovar libero il varco
Posson per torte vie le voci, e ’l suono;
Ma non l’effigie, che divise, e guaste
865Forz’è, che sian, se per diritti fori
Lor non tocca a passar, come son quegli
Del vetro, onde ogni specie oltre sen vola.
S’arroge a ciò, che d’ogn’intorno il suono
Se medesmo propaga, e d’una voce
870Molte voci si creano, in quella guisa
Ch’una sola favilla in più faville
Talor si sparge. Di parole adunque
Ogni luogo vicin, benchè nascosto,
Empir si può, ma per diritte strade
875Corre ogn’immago, onde a nessun, fu dato
Il veder sopra se; ma bene a tutti
L’udir chi fuor ne parla. E nondimeno
Questa voce medesma, allor che passa
Per vie non dritte, e dagli estremi intoppi