< Pagina:Lucrezio e Fedro I.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

di Tito Lucrezio Lib. IV. 221

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Lucrezio e Fedro I.djvu{{padleft:249|3|0]]

  Van molte effigie d’ogn’intorno, in molti
  Modi, e son così tenui, e sì cedenti,
  Che ben spesso incontrandosi per l’aria
  1045Si congiungono insieme agevolmente,
  Quasi rele di ragni, o foglie d’oro,
  Poichè queste eziandio viepiù sottili
  Son dell’istesse immagini, che ponno
  Gli occhi istigare, e concitar la vista.
  1050Conciossiachè pe ’l raro entran del corpo,
  E la tenue natura a mover atti
  Son della mente, e risvegliare il senso,
  Dunque Centauti, e Scille, e Can trifauci
  Veggiamo, e di coloro ombre ed immagini,
  1055Che già morte ridusse in poca polvere.
  Posciache simolacri d’ogni genere,
  Parte, che dalle cose ognor si staccano,
  Parte, che nati son da cose varie,
  Per lo vano del cielo errando volano,
  1060E di questi, e di quegli a caso unitisi
  Nuove forme sovente anco si creano.
  Conciossiache la specie del Centauro
  Certamente non può da viva origine
  Farsi; poichè nel mondo unqua non videsi
  1065Un simile animal. Ma se l’effigie
  D’un uomo, e, d’un cavallo a caso incontransi,
  L’apparirne un tal mostro è cosa agevole,
  Giacche tosto ambedue forse congiungonsi

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.