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di Tito Lucrezio Lib. IV. | 221 |
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Van molte effigie d’ogn’intorno, in molti
Modi, e son così tenui, e sì cedenti,
Che ben spesso incontrandosi per l’aria
1045Si congiungono insieme agevolmente,
Quasi rele di ragni, o foglie d’oro,
Poichè queste eziandio viepiù sottili
Son dell’istesse immagini, che ponno
Gli occhi istigare, e concitar la vista.
1050Conciossiachè pe ’l raro entran del corpo,
E la tenue natura a mover atti
Son della mente, e risvegliare il senso,
Dunque Centauti, e Scille, e Can trifauci
Veggiamo, e di coloro ombre ed immagini,
1055Che già morte ridusse in poca polvere.
Posciache simolacri d’ogni genere,
Parte, che dalle cose ognor si staccano,
Parte, che nati son da cose varie,
Per lo vano del cielo errando volano,
1060E di questi, e di quegli a caso unitisi
Nuove forme sovente anco si creano.
Conciossiache la specie del Centauro
Certamente non può da viva origine
Farsi; poichè nel mondo unqua non videsi
1065Un simile animal. Ma se l’effigie
D’un uomo, e, d’un cavallo a caso incontransi,
L’apparirne un tal mostro è cosa agevole,
Giacche tosto ambedue forse congiungonsi