< Pagina:Lucrezio e Fedro I.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.
224 di Tito Lucrezio Lib. IV.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Lucrezio e Fedro I.djvu{{padleft:252|3|0]]

  È la lor copia, e così grande il numero
  Delle minime parti d’ogni tempo
  1125E qui di molte cose interrogarmi
  Lice, e che molte io ne dichiari è d’uopo,
  Se di spiegar perfettamente altrui
  Di natura desio gl’intimi arcani.
  E pria può domandarmisi, in che modo
  1130L’animo umano, ore il desio lo sprona,
  Tosto volga il pensier? Forse han riguardo
  L’effigie al voler nostro, e senza indugio
  Qualor n’aggrada, a noi vengono incontro
  Se la terra, se ’l mar, se brami il cielo,
  1135Se i ridotti degli uomini, o i conviti,
  O i solenni apparati, o le battaglie,
  Forse ad un cenno sol crea la Natura
  Spettri sì varj, e se gli pone avanţi?
  Massime allor che in un medesmo loco
  1140Altri ha fissa la mente ad altre cose?
  Che poi, quando legati in dolce sonno
  Passar veggiamo i simolacri, e movere
  Le pieghevoli membra acconciamente,
  Qualor tutti a vicenda agili, e snelli
  1145Con le braccia, e co’ piè scherzano in danza,
  Forse nell’arte del ballare esperti
  Vagano i simolacri, e però sanno
  Menar, dormendo noi, tresche notturne?
  O piuttosto fia ver, che in ogni tempo

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.