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di Tito Lucrezio Lib. IV. 231

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  Ne’ penetrali suoi fugge, e s’asconde.
  Conciossiachè languisce, e quasi manca
  Il corpo allor; ma non è dubbio alcuno,
  1315Che dell’anima umana opra non siano
  Tutti i sensi dell’uom. Dunque se il sonno
  Ce gli tiene impediti, è pur mestiero,
  Che turbata sia l’alma, e fuor dispersa;
  Ma non tutta però, che gelo eterno
  1320Di morte ingombreriane, ove nascosta
  Dell’alma aſcuna parte entro alle membra
  Non rimanesse; in quella guisa appunto
  Che sotto a molta cenere sepolto
  S’asconde il foco: onde repente il senso
  1325Tal possa in noi rinovellarsi, quale
  Pur da sepolto ardor sorge la fiamma.
Ma di tal novità quai le cagioni
  Siano, e quai cose ne conturbin l’alma,
  E faccian tutto illanguidire il corpo,
  1330Brevemente dirò. Tu non volere,
  Ch’io sparga intanto ogni mio detto al vento.
  Primieramente essendo il corpo nostro
  Dall’aure aeree d’ogn’intorno cinto,
  D’uopo è, che sia, quanto alle parti esterne,
  1335Dagli stessi lor colpi urtato, e pesto.
  E per questa cagion tutte le cose
  Son coperte da callo, e da corteċcia,
  O da cuojo, o da setole, o da velli,

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