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di Tito Lucrezio Lib. IV. | 239 |
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Mena lungi la vita; anzi ne prende
Senza travaglio alcun tutti i contenti.
1530Conciossiachè più certo, e più sincero
Quinci tragge il piacer chi mai non pose
Il cauto piè sull’amorosa pania;
O tosto almen senza invischiarsi l’ale
Ne ’l ritrasse, e fuggìo. Che gli ostinati
1535Miseri amanti, i quai nel tempo stessa
De’ godimenti lor van fluttuando
In un mar d’incertezze, e stanuo in forse
Di qual parte fruir gli occhi, o le mani
Debbano in prima, il desiato corpo
1540Premon sì stretto, che dolore acerbo
Gli danno, e spesso nell’amate labbra
Lascian de proprj denti impressi i segni,
Ove suggono i baci avidamente;
Perchè impuro è il diletto, e con occulti
1545Stimoli pungentissimi gl’incita
Ad oltraggiar, che ch’egli sia, quel desso,
Che d’un tanto furor produce i germi.
Ma Venere ogni pena infra gli amori
Mitiga dolcemente, e dolcemente
1550Frena i morsi, e l’offese il piacer misto;
Poichè speran, che un giorno anco ammorzarsi
Possa l’incendio lor dal corpo stesso,
Onde il cieco desio sorse, e la vampa:
Il che nega all’incontro apertamente