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di Tito Lucrezio Lib. IV. 241

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  Venere attende a seminare i campi
  Delle giovani donne, avidamente
  Congiungon petto a petto, e bocca a bocca,
  1585E mordendosi ’l volto ansano indarno;
  Poichè quindi limar nulla non ponno,
  Nè penetrar con tutt’il corpo il corpo,
  Come par, che talvolta abbian talento:
  Sì desiosamente avviticchiati
  1590Stan con lacci venerei, infin che lassi
  Per soverchio piacer solvonsi i membri
  Al fin poi che l’ardor ne i nervi accolto
  Fuor se n’uscìo, la violenta brama ·
  Ha qualche pausa. Indi la rabbia stessa
  1595Riede, e ’l furor; mentre toccar di novo
  Cercan l’amato corpo, e mai non poano,
  Arte alcuna trovar, che gli ristori
  Dal mal, che gli ange, e lor tormenta il core:
  Tal per cieca ferita incerti errando
  1600Tabidi fansi a poco a poco, e mancano.
  Aggiungi, che il vigor scema, e la forza;
  Che l’angosce, e i travagli ognor n’afliggono;
  Che sotto al cenno altrui l’età si logora;
  La roba intanto si disperde e fonde,
  1605Dansi le sicurtà, langue ogni uffizio,
  E la gloria, e la fama egre vacillano:
  Splende d’unguenti ’l crin, ridono in piede
  Sicionj coturni, ornan le dita

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